LA PULCE NELL’ORECCHIO di Georges Feydeau traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici, Tindaro Granata Al Prato, teatro Politeama Pratese,

Al teatro Politeama Pratese, via G. Garibaldi 33/35 Prato sabato 15/03/2025 ore 21 con replica domenica 16/03/2025 ore 16

Servizio di Silvia Tondelli

Vittorio Emanuele da un po’ di tempo soffre di impotenza, ma la moglie, Raimonda, si convince che il suo distacco sia dovuto ad un‘amante dopo aver scoperto le bretelle del marito in un pacco, indirizzato al Signor Chandeblise da un albergo equivoco. Decide perciò di tendergli una trappola per coglierlo sul fatto, e fa scrivere alla sua migliore amica, Luciana, una anonima e appassionata lettera d’amore in cui lo invita ad un appuntamento all’hotel Feydeau. Il marito però crede di essere stato scambiato per l’amico Tornello, e convince quest’ultimo ad andare all’appuntamento al posto suo. In quell’albergo “di lusso”, il cui proprietario è un ex militare (Carcassa) che ha sposato una saponificatrice (Olimpia), con una cameriera (Maria Antonietta) che rivendica i propri diritti sindacali e come Anna Magnani si sente attrice, un ex attendente (Buco) alcolizzato e succube del proprietario, una vecchia zia malata  (zia Theresine) che grazie a un bottone d’emergenza in ogni camera funge da alibi in caso di irruzioni indesiderate, Raimonda troverà ad attenderla non il marito ma Tornello.

La pulce nell’orecchio, insinuatasi nella mente di Raimonda, sarà la causa di una serie apparentemente incontrollata di equivoci e situazioni tragicomiche, in cui i personaggi rimbalzano come biglie tra le sponde di un biliardo, in una inesistente partita senza alcuna regola, se non quella di salvare le apparenze e tornare alla normalità.

Raimonda e Tornello crederanno di essere stati scoperti da Vittorio Emanuele a causa della perfetta somiglianza dell’inserviente col marito di lei, ma nell’albergo confluiranno anche gli altri personaggi, ognuno per un motivo diverso. Un manicomio, insomma, un rifrullo continuo di situazioni che vorticosamente mutano, in cui niente e nessuno è come sembra, che lascia lo spettatore senza fiato, vittima inconsapevole delle sue risate, senza nemmeno la possibilità di applaudire, se non dietro espressa richiesta del Dottor Spacciato con il tenero e buffo Camillo.

Ed è proprio lui, col suo buffo e incomprensibile parlare, che sposta il tema della commedia dal piano dell’equivoco, a quello dell’incomprensione. Camillo, infatti, cugino e assistente di Vittorio Emanuele, come spiegherà il Dottor Spacciato ha un difetto congenito del palato che gli impedisce di pronunciare le consonanti. Ma anche gli altri non riescono a comprendersi, Raimonda e Vittorio Emanuele vittime della pulce nell’orecchio, l’americano Rugby e il francese Carcassa per problemi di lingua, la servetta Maria Antonietta tenta di recitare senza riuscire ad essere ascoltata, il medico che ha una doppia vita, lo spagnolo geloso Carlos e la moglie Luciana (che rivelerà all’amica di avere scelto un marito straniero perché non si capiscono, ma in questo modo sono felici), la cameriera Elide, infatuata di Camillo e creduta invece gelosa dal marito Marcello.

Quando il dottor Spacciato fornirà a Camillo un palato d’argento, una sorta di magico scrigno che gli consentirà di articolare correttamente le parole, le cose non prenderanno la piega sperata. Il prezioso palato verrà perso e ritrovato, e alla fine anche gli equivoci saranno risolti, sul palco tornerà la normalità, mentre Elide, seguita da Maria Antonietta, deciderà di rompere col passato e di avviarsi verso l’ignoto, come novelle Thelma e Louise.

Carmelo Rifici, che oltre alla regia firma, con Tindaro Granata, la traduzione dall’originale di Feydeau, l’adattamento e la drammaturgia, ha scelto per il suo spettacolo una scenografia astratta e destrutturata, infantile e giocosa, fatta di parallelepipedi di gommapiuma, di dimensioni diverse, colorati e gommosi come marshmallow,  su cui gli attori si arrampicano, rimbalzano, saltano, cadono, come in un parco giochi gonfiabile, o in una sorta di circo inaspettato quando la comicità dei movimenti è accentuata e scandita dai suoni dell’orchestra polistrumentale posta a destra del palco. Ma anche una serie di muri di gomma in cui la follia delle situazioni e dei personaggi esplode e si stempera come le parole nel morbido palato di Camillo, che “invece di trovare quella parete naturale che permette loro di rimbalzare all’esterno, si perdono nei condotti interni, fino a smarrirsi nelle cavità più oscure”.

Al centro del palco un armadio scuro, con le ante scrivibili come una lavagna scolastica, l’unico elemento “reale”, che funge al tempo stesso da porta di casa, guardaroba, e anche una sorta di passaggio segreto come la porticina di Alice nel Paese delle meraviglie, o come l’armadio delle Cronache di Narnia.

Tutta la scenografia, realizzata da Guido Buganza, poggia su una piattaforma girevole, scandendo il mutare della scena, con gli attori che fuggono e si rincorrono continuamente all’interno dell’Hotel Feydeau, come in un “Volta la carta” immaginario, e tra i “tre tempi” originari della commedia (che è stata invece rappresentata in unico atto di 140 minuti), restituendo, grazie anche alle luci di Alessandro Verazzi, una sorta di grande giostra in movimento in cui tutti i personaggi sono visibili al pubblico contemporaneamente.

I costumi realizzati da Margherita Baldoni sono attuali, dai colori sgargianti come nei dipinti di Andy Warhol, o caricaturali come quello di Camillo, che pur senza bombetta e bastone, nell’abito di scena e anche nelle movenze ricorda Charlot. Anche le scelte musicali, di Zeno Gabaglio, hanno collaborato all’attualizzazione di questa commedia, attingendo al repertorio anni ’80: dall’esplosivo “Girls just wanna have fun” che introduce all’Hotel Feydeau, al malinconico “L’addio” di Giuni Russo, per citarne alcune. Bravi gli attori che hanno saputo coniugare, insieme alla convulsa e movimentata recitazione, anche il canto e l’uso di diversi strumenti musicali, avvicendandosi più volte all’orchestra.  Meritatissimi gli applausi finali del pubblico.

LA PULCE NELL’ORECCHIO di Georges Feydeau traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici, Tindaro Granata

con
Giusto Cucchiarini:  Dott. Spacciato / Carlos Homenidas S.C.R.C. de Histangua
Alfonso De Vreese: Rugby
Giulia Heathfield Di Renzi: Elide
Ugo Fiore: Carcassa
Tindaro Granata;  Camillo Chandebise / Zia Theresine
Christian La Rosa: Vittorio Emanuele Chandebise / Buco
Marta Malvestiti: Raimonda Chandebise
Marco Mavaracchio: Tornello
Francesca Osso: Luciana Homenidas S.C.R.C. de Histangua
Alberto Pirazzini: Marcello
Emilia Tiburzi: Maria Antonietta
Carlotta Viscovo: Olimpia Carcassa
Regia: Carmelo Rifici
scene: Guido Buganza
costumi: Margherita Baldoni
luci: Alessandro Verazzi
musiche: Zeno Gabaglio
assistente alla regia: Giacomo Toccaceli
regista assistente: Alice Sinigaglia
coaching movimenti acrobatici: Antonio Bertusi
coaching clownerie: Andreas Manz

Produzione: LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
coproduttore: Fabbrica dell’attore – Teatro Vascello di Roma

 Prima foto di Luca del Pia

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