Per Enzo Moscato - Un ricordo

Servizio di Rita Felerico

Era il 2016, e fu Enzo Moscato a chiudere la 64esima edizione del Ravello Festival con lo spettacolo Modo minore, che lo vide sul palco del sempre sorprendente – per la sua bellezza - auditorium Oscar Niemeyer;  insieme a tanti giovani musicisti ci trascinò in un viaggio musicale che tra l’onirico e il realistico, abbracciava un ampio arco di tempo, dagli anni ’50 fino agli anni ’80, raccontando la storia del nostro Paese partendo dal repertorio napoletano e spaziando in quello nazionale e internazionale con Sergio Bruni, Luigi Tenco, Giorgio Gaber, Sonny Bono e Umberto Bindi per ricordare solo alcuni nomi dei protagonisti.

Ma il vero protagonista era lui, con la sua personalità scenica, con la sua nostalgica presenza, i suoi ricordi, la sua passionalità, i suoi colori. Ho voluto ricordare questa sua pagina musicale e teatrale non solo perché fra i musicisti che lo accompagnavano c’era al pianoforte mio figlio, ma perché per la preparazione dello spettacolo la maggior parte delle prove furono fatte nella mia casa (a lui proposta come possibile luogo di incontro). 

Appassionata di teatro e del suo teatro, ho sempre seguito i suoi spettacoli come nuovi percorsi di conoscenza, di scoperta e riscoperta di pagine di storia e della città e soprattutto di una lingua – il nostro dialetto - il cui fascino non finirà mai di meravigliare.

Poterlo ospitare, accogliere, offrirgli un luogo sereno e tranquillo per i suoi poetici pensieri di teatro è stata per me una vera gioia, come gioia è stata la possibilità di potergli parlare con semplicità, scoprendo la sua grande sensibilità.

Mi fece dono di alcuni libri (qualche suo testo lo possedevo già) ed è proprio da uno di questi, una pubblicazione fuori commercio edita da Cronopio Occhi gettati- Un dé-coupage, 34 anni dopo, che traggo dalla prefazione - scritta da lui - le parole con le quali oggi desidero ricordarlo.

 “Occhi Gettati”  l’ho scritto e messo in scena ormai più di 34 anni fa. A distanza di tanto tempo, se dovessi definire, ancora oggi, cos’era – cos’è e cosa voleva significare, per me e per il teatro, non saprei dire. Certo è che quando lo scrissi………mi sentii in obbligo di rimettere tutto in discussione, per quel che mi riguardava. Di ricominciare daccapo, e, se possibile, con un altro e più radicale linguaggio scenico che era, per me, quello della poesia pura. 

Scrissi allora questa sorta di soliloquio infinito in versi, che è “Occhi Gettati”: che potremmo definire, in breve, una sorta di picassiana Guernica, una sorta di grande incendio, di grande rogo, di grande olocausto, del discorso tradizionale sul teatro, e su Napoli, e su me, poiché noi tre siamo profondamente la stessa cosa. Nel bene e nel male, siamo la stessa. ……”

 

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