Al teatro Mercadante di Napoli dal 29
ottobre al 9 novembre 2025
Servizio di Rita Felerico
La platea è tagliata dalla ferita di una passerella,
abbastanza stretta, abbagliante per il suo bianco, che va a morire dritta nello
sfondo geometrico bianco / nero del palcoscenico. Non contrastano gli ingombri
di oro antico dei grandi grammofoni, sparsi anche sui palchi, ad interpretare
le voci, i sussurri, le chiacchiere, il bla bla delle parole vagamente in
eco del potere, quello del Giudice, dei santi, della Chiesa, dei vescovi. Resta negli occhi il particolare allestimento di La
storia è questa. Il processo di Giovanna D’Arco (scene e luci di Simone
Sannino, sound designer Giacomo Agnifili); il gioco delle luci,
l’irrompere in movimento diagonale di un sottile tubo al neon, le ombre, il
cambiamento di prospettiva del pubblico - che sembra sedere su scanni di giurati
e occupare un’aula di tribunale – costruiscono lo spettacolo, riuscendo a
ricreare l’atmosfera quattrocentesca della storia con strumenti e linguaggi
dell’oggi.

Si muove sicura, seguendo la sua traiettoria, Caterina Tieghi,
come Giovanna sicura, poco impaurita, creatura fragile, razionale e
passionale insieme, determinata. Brava, immedesimata nel ruolo, in una
interpretazione che non è slittata o precipitata da un confine all’altro,
quello della fanciulla e della donna, del maschile e del femminile, specchio di
una bellezza eterea, sfuggente ma presenza forte e ingombrante di giovane
diciannovenne per gli occhi e le coscienze altrui. Il regista Liv Ferracchiati
ha già rappresentato il dilemma di genere e di identità in suoi precedenti lavori (la Trilogia di Baby Walk), ma qui la
parola di Giovanna vuole rappresentare la forza della luce senza infingimenti
della verità che smonta la boriosità del potere ma non ne sconfigge pienamente la sua violenza. Adorata, amata, Giovanna verrà poi uccisa e
bruciata, il suo corpo annientato.

Interessante la figura del cronista, Riccardo Goretti, che
osserva, registra, riporta gli accadimenti, ma non prende una posizione netta,
forse per paura di schierarsi. Teresa Cremisi e Chiara Valerio ci dicono e narrano quanto figure come Giovanna D’Arco possano
essere utili per rompere la rigidità dei meccanismi di gestione politica e
religiosa e poi – scoprendone gli errori – spiegare come negli stessi errori si
possa ritornare. Chi scrive
veramente la Storia? Si possono mutare i corsi di un destino? Come si possono,
se si possono, gestire i giochi del potere?
Queste ed
altre domande suscita lo spettacolo prodotto dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, tutto da
godere e vedere, calibrato, valorizzato dalla bella prova degli attori, dalla
magia dell’allestimento, tutto centrato per dare giusto spazio a nuove, giovani
voci della drammaturgia contemporanea.
Note

Liv Ferracchiati. Più che attore, Liv si definisce un
drammaturgo e poi un regista perché, sostiene, la regia è come una seconda
scrittura che passa attraverso la recitazione degli attori. Il suo approccio al
teatro, infatti, è stata proprio la scrittura; la pratica a partire dai dodici
anni quando si era proposta di scrivere una sceneggiatura e a soli 19 anni crea
una compagnia per mettere in scena ciò che scrive. La sua opera più
rappresentata è La Trilogia di Baby Walk nella quale affronta
– tra le altre – la tematica dell’identità di genere. Il protagonista di tutti
e tre i capitoli è una persona transgender, che transita dal genere femminile
al maschile. Mi affascina l’atto di liberazione di una persona
transgender e il teatro è il luogo perfetto per liberarsi di convinzioni, sperimentare nuovi percorsi di
ricerca, nuove possibilità per l’essere umano, così afferma. Con Liv si parla della
nuova drammaturgia under
35 in Italia; in tal senso cura anche in Laboratorio di Scrittura Rivoluzione Privata che superi anche il livello puramente
biografico.
NOTE DI REGIA di LIV
FERRACCHIATI

«Nel mettere in scena La
storia è questa. Il processo di Giovanna d’Arco di Chiara Valerio e Teresa
Cremisi l'idea è di immergere il pubblico in un’esperienza che trascende il
semplice spettacolo teatrale, trasformando il processo in un’installazione
museale vivente. Gli atti del processo non sono più solo parole recitate, ma
diventano un percorso espositivo, un’esplorazione interattiva di un momento
storico che riecheggia nelle nostre coscienze contemporanee. Giovanna,
interpretata da Caterina Tieghi, è esposta come un reperto vivente, sola al
centro della scena, fatta eccezione per un anonimo cronista, Riccardo Goretti,
che incarna la voce mutevole del popolo: prima elevatore di miti, poi giudice
impietoso. La scena ruota attorno al concetto di prossimità e osservazione.
Grazie a una passerella che attraversa lo spazio scenico, il pubblico è vicino
a Giovanna, può scrutarla, quasi come un visitatore che esamini un’opera d’arte
controversa. Questo dispositivo amplifica il peso dello sguardo accusatorio, trasformando
gli spettatori in una giuria di tribunale. Siamo tutti accusatori di qualcun
altro, ansiosi di una condanna, desiderosi di vedere l’altro bruciare. Il
pubblico diventa così complice, parte integrante del meccanismo di giudizio. Lo
sguardo non è mai neutro; è un’arma che pesa, che condanna, che riflette le
nostre paure e i nostri pregiudizi collettivi.
Le voci dei santi (San
Michele, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Margherita di Antiochia) emergono
da grammofoni che incombono dai palchi, come accade per la voce del giudice
Cauchon ed evocano l'eco fantasmagorico che abita il liminale tra realtà e
allucinazione, tra luce e ombra, tra presente e memoria. Queste voci,
autorevoli eppure anche ironiche e ambigue, non sono presenze fisiche ma
sonorità che invadono lo spazio, sottolineando l’isolamento di Giovanna: una
donna che ha sfidato il potere maschile, guidando eserciti con la forza delle
sue convinzioni, ma che ora deve difendersi con preghiere e parole contro un
giudice invisibile, simbolo del Potere.
Giovanna è l’eroina che il
popolo acclama quando vince, ma che abbandona senza pietà quando perde. Il suo
corpo, prima celebrato in trionfo, diventa oggetto di accusa: le armi, gli
abiti, la sua stessa essenza femminile si rivoltano contro di lei, portando
all’annientamento.
Grazie a questo testo
possono riaffiorare i concetti di Bachtin, quelli su un temporaneo
rovesciamento: il potere ha ciclicamente bisogno del caos per rafforzarsi,
liberando la comunità dalla restrizione al fine di ricostituire un ordine più
rigido. Il pubblico è invitato ad interrogarsi sul proprio ruolo: non solo
osservatori, ma partecipanti a un rito collettivo di condanna. Perché, in
fondo, la storia di Giovanna è la nostra: un monito su come l’eroismo si
trasformi in eresia al primo segno di sconfitta, e su come lo sguardo altrui
possa bruciare più del rogo».
Firmano la
scrittura dello spettacolo : Teresa Cremisi, nata
ad Alessandria d’Egitto il 7 ottobre 1945, editrice italiana naturalizzata francese, dal 2021 presidente
di Adelphi dopo essere stata a lungo collaboratrice
di Antoine Gallimard a Parigi e presidente
del gruppo Flammarion. E’ autrice del romanzo Il
processo di condanna di Giovanna d’Arco pubblicato da Marsilio nel
2021. Chiara Valerio, nata a Scauri, ha conseguito la laurea e il dottorato in
Matematica presso la Federico II di Napoli. Membro del Comitato
editoriale della rivista Nuovi Argomenti ha collaborato
al blog letterario Nazione
Indiana, scritto per il teatro e per la radio, per Il Sole 24 Ore e l'Unità e ha coordinato e
concotto varie la trasmissione culturale di Rai 3 e Rai
Radio3.
LA STORIA È QUESTA.
IL PROCESSO DI GIOVANNA D’ARCO
di Teresa
Cremisi e Chiara Valerio
regia Liv Ferracchiati
con Giovanna D’Arco- Caterina
Tieghi, l’Anonimo
cronista – Riccardo Goretti
voci in ordine di apparizione Pierre
Cauchon, giudice – Giovanni Battaglia, San Michele – Gennaro
Di Biase, Santa
Caterina D’Alessandria – Laura Marinoni, Santa Margherita Di Antiochia – Anna
Coppola, soldati
– Nicola Conforto, Francesco Roccasecca, Rosario
Sparno
scene e luci Simone
Mannino
sound designer Giacomo Agnifili
costumi Gianluca Sbicca
aiuto regia Piera Mungiguerra
direttore di scena Domenico Riso
fonico Alessandro Innaro
datore luci Francesco Adinolfi
capo macchinista Nunzio Romano
elettricista Diego Contegno
sarte Daniela Guida e Roberta
Mattera
foto di scena Ivan Nocera
armatura realizzata da Giacomo
Bevanati
produzione Teatro
di Napoli – Teatro Nazionale
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