LIETO FINE, di e con Alessandro Benvenuti
Al Metastasio di Prato - Via B. Cairoli 59, Prato – dal 16 al 21 aprile, 2024.
Servizio di Cinzia Capristo
Quello
che è andato in scena al teatro Metastasio è un monologo scritto e interpretato da
Alessandro Benvenuti, in toscano, dal nome: “Lieto Fine” testo che chiude la
trilogia “Dinosauro Canterino”. A sipario ancora chiuso e nel buio più totale
si leva la voce di Benvenuti che farfuglia di spegnere i telefonini asserendo
di come hanno invaso la nostra vita quotidiana e cita il testo che chiude
un’altra trilogia o meglio una tetratrilogia quella di William Shakespeare “Enrico
V”.
Tutta la
storia narrata, tra passato e presente, è racchiusa in un’unica scena dai
contenuti essenziali, una pedana di legno, una bicicletta, un pendolo a cucù,
un orologio a muro moderno, ruote di biciclette appese, dei barattoli e un
pacco decisivo nel dipanare il racconto.
La scena
si apre con Benvenuti che pedala su una bicicletta con al collo appeso un cellulare,
come l’Enrico V, la recitazione inizia con un colloquio, una conversazione convulsiva
e frenetica con un amico immaginario: Mario. I due parlano di un catafalco e di
dove allestire la bara che porterà il corpo del protagonista. Tra passato e
presente, tra spazio e tempo si narra la storia di un uomo maturo.
Riaffiorano
i ricordi da bambino, le vacanze di Natale del 1959, le canzoni di un tempo
“Tulipan” del Trio Lescano, “Ma dove vai bellezza in bicicletta” di Silvana
Pampanini; torna alla mente Corto Maltese, un cult degli anni settanta, e come
Maltese il nostro personaggio non riesce a lasciare andare l’unica donna della
sua vita: Mara; ricorda il movimento letterario, culturale e artistico del
futurismo con Filippo Marinetti, si sofferma sull’evoluzione della lingua
italiana a partire dai partitivi e sul futuro tecnologico sempre più
incombente. Insomma,
un personaggio shakespeariano moderno che tra immaginazione e realtà cerca di
ricostruire con la mente la propria esistenza cercando di distinguere la
fantasia dalla realtà, il sogno dall’immaginazione, di stabilire ciò che non è
possibile stabilire: la fine della vita.
La morte è sempre presente nel testo, anche
quando cita il suicidio di Pavese, o quando a conclusione del racconto lascia
aperta la sua fine vita che termina alla pagina diciassette di una
sceneggiatura incompleta e di un produttore, Marzio, che aspetta mentre un copione,
la vita, viene lasciato incompiuto. In modo introspettivo il protagonista si
interroga sul significato della morte e invoca il significato non funesto del
diciassette, ma quello angelico, di una crescita spirituale. La morte come
rinascita come rigenerazione, ma anche dandogli un significato amletico di una
via di fuga per una verità incerta.
Quello
che va in scena è un Benvenuti inusuale, un artista maturo, che dà palpitazioni
al personaggio, forse perché il personaggio è Benvenuti stesso, o forse perché
in questa sua introspezione vuole soffermarsi sulla caducità della vita e
rendere partecipe il pubblico sull’isolamento dell’uomo moderno che per restare
in comunità ha bisogno della tecnologia. Cita la frase di Giacomo Leopardi a
chiosa della poesia L’Infinito “il naufragar m’è e dolce in questo mare” e si
sofferma su come la mente, di fronte all’infinito, imbocca sentieri tortuosi
cercando di travalicare ogni limite. Adopera metafore Benvenuti per raccontare
l’impeto che ha l’uomo di vivere, di pedalare per dare sprint alla vita, e sul
palco Benvenuti pedala, pedala tanto.
Cita un
verso della canzone di Vasco Rossi Un senso “Voglio trovare un senso a questa
vita, anche se questa vita un senso non c’è l’ha”, la vita è una complessità ed
il racconto di Benvenuti sembra non avere un senso, ma il senso è insito nel
non senso. Ciascun personaggio citato nel bene e nel male ha attraversato la
vita del protagonista tutto rimanda a una vita vissuta in un percorso di
conoscenza fuori e dentro di se.
La vita
del protagonista finisce quando attraversando i binari per consegnare un pacco
a Mara, la ruota della bicicletta rimane impigliata sulle rotaie. Benvenuti
solo allora scende dalla pedana di legno e si siede a destra del palco dove vi
è un leggio con un quaderno aperto ed è là che saluta Mara. Anche in questa
scena i richiami a Shakespeare sono evidenti, viene alla mente il Sonetto 81: “Sia
ch’io viva a dettar il tuo epitaffio, sia che tu sopravviva mentre io marcirò
in terra, non potrà morte di qui sradicar la tua memoria pur quando ogni mio
merito sarà dimenticato. Di qui il tuo nome trarrà vita immortale”, il nome che
trarrà vita immortale nel monologo è Mara. L’amore che sopravvive a qualsiasi
cosa.
Uno
spettacolo impegnativo quello del poliedrico Alessandro Benvenuti che ha
dimostrato di essere un artista completo e con un animo gentile. Il pubblico ha
apprezzato la veste inusuale dell’artista tributandogli lunghi applausi.
LIETO
FINE, di e con Alessandro Benvenuti
Oggetti
di scena e bicicletta di Roberto Abbiate
Luci di Massimo
Galardini
Produzione
Teatro Metastasio di Prato
Progetto
speciale A Singolar Tenzone- i monologhi del XXI secolo
Foto
di scena
di Ilaria-Costanzo
Altre
foto di
Silvia Tondelli
©
RIPRODUZIONE RISERVATA