L’AMACA di DOMANI, con Michele Serra, regia di Andrea Renzi.

Al Teatro Politeama Pratese - Via G. Garibaldi 33/35, PRATO – il 4 alle ore 21 maggio 2023.

Servizio di Cinzia Capristo

Al Politeama di Prato è andato in scena un monologo in un solo atto scritto e interpretato dal noto giornalista e scrittore Michele Serra. Il sipario si apre e una scena onirica si palesa agli occhi degli spettatori. Una mucca di plastica a grandezza naturale posta a sinistra e a destra un leggio a podio illuminato da un faro di luce; sul fondo uno schermo che proietta nuvole in movimento che riportano alla memoria Carosello, un tempo passato, ma che fanno riaffiorare anche i contenuti della canzone scritta da Pier Paolo Pasolini “Cosa sono le nuvole” interpretata da un indimenticabile Domenico Modugno, una canzone struggente che scava nell’animo umano alla ricerca spasmodica di dare un senso alla vita e raggiungere una libertà tanto agognata e a tutto tondo. In questa cornice revival entra in scena Serra spingendo un carrello per pacchi con su un cumulo di giornali dove sono riportati i suoi innumerevoli corsivi da giornalista-opinionista, così tanti che a volte ha corso il rischio di essere ripetitivo.

L’uomo Michele racconta il giornalista Serra, parte da un’ode alla “parola” richiamando la cristologia, il “Verbo di Dio”, giocando sui possibili significati di “Verbo”, ossia “Logos”, “Parola”, e come il Verbo siamo noi tutti. Le parole possono essere anche ingannevoli, armi rivolte verso chi le usa, descrivono chi le adopera, possono ferire, essere potenti, violano il silenzio, possono disturbare e possono ristagnare.

Insomma, l’uomo Michele attraverso il Serra giornalista e scrittore, che adopera le parole per scrivere, narra di sé, racconta e si racconta. Le parole generano contrasti se non sapute adoperare, meglio il silenzio, ma il silenzio può essere dirompente, assordante così come le parole. L’uomo Michele evoca il ricordo del padre che parlava poco e solo da adulto riscopre la sua figura. Riflette su come è bello vedere le nuvole passare, racconta di sua madre e delle voci di donne che hanno costellato la sua vita da fanciullo, ritorna con la memoria alla canzone di Édith Piaf “Mon Manège a Moi”  “Tu me fais tourner la tète”, canticchiata nostalgicamente da Michele Serra. Ricorda il suo sogno ricorrente ossia di giocare da attaccante nell’Inter. Un uomo che con le sue fragilità si mette a nudo, ironizzando, dall’alto della sua età matura, senza avere timore di farlo. Pescando nei ricordi, parla della realizzazione di un giornale, della stampa a caratteri mobili, di tutti coloro che vi ruotano intorno; un evidente segno della sua carriera iniziata dal basso. 

Intanto sullo sfondo le immagini cambiano, le nuvole cedono il posto ad una serie di lettere, che appaiono una dopo l’altra: j, k, x, w, che rappresentano i ricordi dell’inizio della sua carriera come dimafonista notturno all’Unità, dove trascriveva parole e nomi in lingue straniere.

Le lettere sullo schermo cedono il posto poi a gocce che scendono come a voler scandire un mondo che scorre; viene alla mente Giorgio Gaber col testo della canzone “il Dilemma” “senza dar la colpa all’epoca o alla storia”. La tecnologia avanza, il tempo e lo spazio sono cadenzati in modo diverso, si scrive ovunque, basta avere un tablet o un computer e con un click si invia un articolo. Serra ricorda come a volte le tematiche a distanza di tanti anni non cambiano, si parlava venticinque anni fa, come oggi, di frontiere, di Mediterraneo, di migrazione, in senso comunitario senza addivenire ad una soluzione.   

Ritornano le nuvole e citando Voltaire “Scusa caro amico se ti scrivo una lunga lettera, ma non avevo tempo di essere breve”, Serra sostiene quanto sia difficile scrivere in modo sintetico, quando si devono dire tante cose anche scottanti che magari nessuno osa dire. Qualcuno deve pur farlo o per senso civico o perché magari si guarda troppo avanti rispetto agli altri. Racconta di sé, dei suoi inizi, di come la sua strada di giornalista fosse già segnata da un nonno che scriveva, ma anche del suo entusiasmo politico e poi deluso. Uomo di sinistra, che non ha paura di parlare e di prendere le distanze. Cita la poesia Tyger di William Blake, è il coraggio della tigre che lo affascina, lo conforta, lo avvicina a lui e lo stimola per andare “In the forests of the night”. Un Serra che con irriverenza parla di politica, facendo satira. Tagliente e ironico gioca con le parole, cita Marx e Gramsci, ma con leggerezza, ascolta la musica “People From Ibiza” di Sandy Marton del 1984, rievocando un’epoca passata.  

Una scia luminosa appare sullo schermo, si allunga velocemente e si estende, appaiono lettere dell’alfabeto che compongono le parole e Serra ribadisce quanto queste siano importanti, ricordando una frase di Don Milani “l’operaio conosce 100 parole il padrone 1000 per questo lui è il padrone”. Evoca Dino Campana con le sue tante figure retoriche, dalle metafore, alle similitudini, all’allitterazioni, agli anacoluti, tutti strumenti che permettono a scrittori e giornalisti di maneggiare con accuratezza le parole.

Lo sfondo cambia nuovamente, appare un prato verde e delle mucche al pascolo, qui l’uomo Michele racconta di quando nel 2013, a Parigi, fu ricoverato in terapia intensiva, gli unici tre giorni in cui non scrisse un corsivo; durante il ritorno in Italia il suo sguardo si posò su un pascolo di mucche francesi e li che pensò a come fossero libere e silenziose.

L’ultima cosa che appare sullo sfondo è il nome dello spettacolo: L’Amaca di domani e Serra, a coronamento di tutto il racconto introspettivo, si sofferma sul significato di “Amaca” che rappresenta l’ozio, l’ozio pensante dei greci e sottolinea che quando si scrive non lo si fa da sdraiati ma da seduti, cita infatti il film “Totò Peppino e la malafemmina”, quando nella scena Totò detta la lettera a Peppino che è ovviamente seduto.

Il testo di Michele Serra è una valigia di ricordi che l’autore vuole fermare come in una istantanea, per guardare in un angolo, ciò che l’uomo Michele è diventato: ossia Michele Serra, con le sue fragilità, il suo umorismo, la sua satira, il suo esserci e non esserci. Il testo è stato coadiuvato da Andrea Renzi che ne ha curato la regia. Le scene di Barbara Bessi non solo hanno reso per immagini ciò che l’autore narrava, ma hanno all’unisono, reso le scene parti essenziali della narrazione. Se tutti conoscono il personaggio Michele Serra giornalista e scrittore, in questa performance, il pubblico ha avuto modo di scoprire ed apprezzare l’uomo Michele Serra.  A fine spettacolo il pubblico ha salutato il giornalista con lunghi applausi richiamandolo sulla scena dove poi ha letto l’Amaca che sarebbe uscita il giorno successivo sul quotidiano Repubblica e che parlava delle nomine Rai, ma il pubblico lo ha nuovamente reclamato e Michele Serra ha letto un ironico trafiletto sui No Vax, no bedding e altro, facendo notare come si può essere favorevoli e nello stesso tempo contrari a tutto. Con questa rappresentazione, a Prato, si conclude la fortunata tournée di Michele Serra, che ha fatto sorridere e nello stesso tempo riflettere il pubblico intervenuto.

 

L’AMACA di DOMANI

Di e con Michele Serra

Regia di Andrea Renzi

Scene e costumi di Barbara Bessi

Luci di Cesare Accetta

SPAlive in collaborazione con Teatri Uniti


 Foto di Silvia Tondelli


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