Al Teatro Politeama Pratese - Via G. Garibaldi 33/35, PRATO – il 4 alle
ore 21 maggio 2023.
Servizio di Cinzia
Capristo

Al
Politeama di Prato è andato in scena un monologo in un solo atto scritto e interpretato dal noto giornalista e scrittore Michele Serra. Il sipario si apre
e una scena onirica si palesa agli occhi degli spettatori. Una mucca di plastica
a grandezza naturale posta a sinistra e a destra un leggio a podio illuminato
da un faro di luce; sul fondo uno schermo che proietta nuvole in movimento che
riportano alla memoria Carosello, un tempo passato, ma che fanno riaffiorare
anche i contenuti della canzone scritta da Pier Paolo Pasolini “Cosa sono le nuvole”
interpretata da un indimenticabile Domenico Modugno, una canzone struggente che
scava nell’animo umano alla ricerca spasmodica di dare un senso alla vita e raggiungere
una libertà tanto agognata e a tutto tondo. In questa cornice revival entra
in scena Serra spingendo un carrello per pacchi con su un cumulo di giornali
dove sono riportati i suoi innumerevoli corsivi da giornalista-opinionista, così
tanti che a volte ha corso il rischio di essere ripetitivo.
L’uomo Michele
racconta il giornalista Serra, parte da un’ode alla “parola” richiamando la
cristologia, il “Verbo di Dio”, giocando sui possibili significati di “Verbo”, ossia
“Logos”, “Parola”, e come il Verbo siamo noi tutti. Le parole possono essere anche
ingannevoli, armi rivolte verso chi le usa, descrivono chi le adopera, possono
ferire, essere potenti, violano il silenzio, possono disturbare e possono ristagnare.

Insomma, l’uomo
Michele attraverso il Serra giornalista e scrittore, che adopera le parole per
scrivere, narra di sé, racconta e si racconta. Le parole generano contrasti se
non sapute adoperare, meglio il silenzio, ma il silenzio può essere dirompente,
assordante così come le parole. L’uomo Michele evoca il ricordo del padre che
parlava poco e solo da adulto riscopre la sua figura. Riflette su come è bello
vedere le nuvole passare, racconta di sua madre e delle voci di donne che hanno
costellato la sua vita da fanciullo, ritorna con la memoria alla canzone di
Édith Piaf “Mon Manège a Moi” “Tu me
fais tourner la tète”, canticchiata nostalgicamente da Michele Serra. Ricorda il
suo sogno ricorrente ossia di giocare da attaccante nell’Inter. Un uomo che con
le sue fragilità si mette a nudo, ironizzando, dall’alto della sua età matura, senza
avere timore di farlo. Pescando nei ricordi, parla della realizzazione di un giornale,
della stampa a caratteri mobili, di tutti coloro che vi ruotano intorno; un evidente
segno della sua carriera iniziata dal basso.

Intanto
sullo sfondo le immagini cambiano, le nuvole cedono il posto ad una serie di
lettere, che appaiono una dopo l’altra: j, k, x, w, che rappresentano i ricordi
dell’inizio della sua carriera come dimafonista notturno all’Unità, dove
trascriveva parole e nomi in lingue straniere.
Le
lettere sullo schermo cedono il posto poi a gocce che scendono come a voler
scandire un mondo che scorre; viene alla mente Giorgio Gaber col testo della
canzone “il Dilemma” “senza dar la colpa all’epoca o alla storia”. La
tecnologia avanza, il tempo e lo spazio sono cadenzati in modo diverso, si
scrive ovunque, basta avere un tablet o un computer e con un click si invia un
articolo. Serra ricorda come a volte le tematiche a distanza di tanti anni non
cambiano, si parlava venticinque anni fa, come oggi, di frontiere, di
Mediterraneo, di migrazione, in senso comunitario senza addivenire ad una
soluzione.

Ritornano
le nuvole e citando Voltaire “Scusa caro amico se ti scrivo una lunga
lettera, ma non avevo tempo di essere breve”, Serra sostiene quanto sia
difficile scrivere in modo sintetico, quando si devono dire tante cose anche
scottanti che magari nessuno osa dire. Qualcuno deve pur farlo o per senso
civico o perché magari si guarda troppo avanti rispetto agli altri. Racconta di
sé, dei suoi inizi, di come la sua strada di giornalista fosse già segnata da un
nonno che scriveva, ma anche del suo entusiasmo politico e poi deluso. Uomo di
sinistra, che non ha paura di parlare e di prendere le distanze. Cita la poesia
Tyger di William Blake, è il coraggio della tigre che lo affascina, lo
conforta, lo avvicina a lui e lo stimola per andare “In the forests of the
night”. Un Serra che con irriverenza parla di politica, facendo satira. Tagliente
e ironico gioca con le parole, cita Marx e Gramsci, ma con leggerezza, ascolta la
musica “People From Ibiza” di Sandy Marton del 1984, rievocando un’epoca
passata.
Una scia
luminosa appare sullo schermo, si allunga velocemente e si estende, appaiono
lettere dell’alfabeto che compongono le parole e Serra ribadisce quanto queste
siano importanti, ricordando una frase di Don Milani “l’operaio conosce 100
parole il padrone 1000 per questo lui è il padrone”. Evoca Dino Campana con
le sue tante figure retoriche, dalle metafore, alle similitudini,
all’allitterazioni, agli anacoluti, tutti strumenti che permettono a scrittori
e giornalisti di maneggiare con accuratezza le parole.
Lo sfondo
cambia nuovamente, appare un prato verde e delle mucche al pascolo, qui l’uomo
Michele racconta di quando nel 2013, a Parigi, fu ricoverato in terapia
intensiva, gli unici tre giorni in cui non scrisse un corsivo; durante il ritorno
in Italia il suo sguardo si posò su un pascolo di mucche francesi e li che
pensò a come fossero libere e silenziose.
L’ultima cosa
che appare sullo sfondo è il nome dello spettacolo: L’Amaca di domani e Serra,
a coronamento di tutto il racconto introspettivo, si sofferma sul significato
di “Amaca” che rappresenta l’ozio, l’ozio pensante dei greci e sottolinea che quando
si scrive non lo si fa da sdraiati ma da seduti, cita infatti il film “Totò
Peppino e la malafemmina”, quando nella scena Totò detta la lettera a Peppino che
è ovviamente seduto.

Il testo
di Michele Serra è una valigia di ricordi che l’autore vuole fermare come in una
istantanea, per guardare in un angolo, ciò che l’uomo Michele è diventato: ossia
Michele Serra, con le sue fragilità, il suo umorismo, la sua satira, il suo
esserci e non esserci. Il testo è stato coadiuvato da Andrea Renzi che ne ha
curato la regia. Le scene di Barbara Bessi non solo hanno reso per immagini ciò
che l’autore narrava, ma hanno all’unisono, reso le scene parti essenziali della
narrazione. Se tutti conoscono il personaggio Michele Serra giornalista e
scrittore, in questa performance, il pubblico ha avuto modo di scoprire ed
apprezzare l’uomo Michele Serra. A fine spettacolo
il pubblico ha salutato il giornalista con lunghi applausi richiamandolo sulla
scena dove poi ha letto l’Amaca che sarebbe uscita il giorno successivo sul
quotidiano Repubblica e che parlava delle nomine Rai, ma il pubblico lo ha
nuovamente reclamato e Michele Serra ha letto un ironico trafiletto sui No Vax,
no bedding e altro, facendo notare come si può essere favorevoli e nello stesso
tempo contrari a tutto. Con questa rappresentazione, a Prato, si conclude la fortunata
tournée di Michele Serra, che ha fatto sorridere e nello stesso tempo riflettere
il pubblico intervenuto.

L’AMACA di DOMANI
Di e con Michele Serra
Regia di Andrea Renzi
Scene e costumi di Barbara Bessi
Luci di Cesare Accetta
SPAlive in collaborazione con
Teatri Uniti
Foto di Silvia Tondelli
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