IL SOGNO DI UNA COSA liberamente tratto dal capolavoro di Pier Paolo Pasolini di e con Elio Germano, Teho Teardo

CAPODIMONTE – Cortile della Reggia - 28 giugno - debutto assoluto – nell’ambito del Campania Teatro Festival

Servizio di Rita  Felerico

Napoli - Mettere insieme ottimi ingredienti e saperli sapientemente mescolare, dosare, amalgamare è un’arte e non è certo semplice gioco, soprattutto quando gli ingredienti possiedono, indipendentemente l’uno dall’altro, una forte carica creativa che ne segna l’espressività.  Parliamo di Teho Teardo, musicista, compositore, sound designer che ha lavorato fianco a fianco con grandi artisti nazionali  ed internazionali, di Elio Germano, attore amato dal grande pubblico , vincitore tra gli altri premi, di quattro David  Donatello come miglior attore protagonista - per "Mio fratello è figlio unico", "La nostra vita", "Il giovane favoloso" e "Volevo nascondermi- e di Pier Paolo Pasolini , una delle voci più significative nel panorama letterario - e non solo -  del secolo scorso, figura difficilmente raggiungibile di intellettuale impegnato, poeta, regista.

Teho si è già imbattuto in Pasolini e nella sua poesia, per l’ideazione dell’album   Giorni rubati realizzato con il musicista di fama mondiale Erik Friedlander, mentre con Elio ha realizzato lo spettacolo Viaggio al termine della notte, ispirato al capolavoro di Cèline. Fra i due esiste un’intesa quanto mai perfetta: musica, suoni, voce si rincorrono e si intrecciano facendo sì che il primo romanzo di Pasolini – di cui ricorre il centenario della nascita – il sogno di una cosa, non sia solamente letto con maestria, teatralizzato, interpretato con professionalità e passione. Si va oltre la semplice idea di lettura o interpretazione.

I sintetizzatori, le percussioni e i vari altri strumenti suonati da Teho insieme alla registrazione di voci dialettali friulane, uomini, donne, ragazzi, di rumori, di echi di feste e balli nei patii di antiche case di campagna, immergono in un’atmosfera che sembra dare vita lì sul palco ad un film, che non si vede ma si immagina, e soprattutto a pensieri e metafore che sembrano da sempre appartenere alla nostra mente, alla nostra memoria.

Sembra di vederli in carne ed ossa quei giovani contadini alla ricerca di un benessere e di una felicità che vada oltre il confine delle loro montagne; si materializzano davanti agli occhi, riusciamo a vedere le loro mani, i loro abiti e ci parliamo anche noi spettatori con Ninì, Eligio e Milio, ventenni desiderosi di lasciare il Friuli, quell’Italia difficile, povera e restrittiva del dopoguerra. Sperano di trovare lavoro in Svizzera, in Jugoslavia, dove credono si realizzino i loro ideali sociali e politici. Partono, ma vivono un incubo: il sogno della Jugoslavia di Tito, la meta per chi cercava giustizia, dignità, benessere, si rivela per i ragazzi, un viaggio infernale, doloroso e deludente. Ritornano in patria, soccombono e si lasciano andare ai compromessi di una mediocre società borghese.  C’è anche la morte, la morte sul lavoro, di Eligio, che atterra definitivamente ogni aspettativa.

Bravissimo Elio a teatralizzare, a suonare con Teho una piccola fisarmonica, a far vibrare una piccola campana, per segnare i tempi e i ritmi di crescita di una storia che si concluderà nell’armonia del finale, dove la voce di Elio, le voci degli altri protagonisti assenti e la musica si silenzieranno su se stessi, lasciando gli spettatori nell’eco di suoni e rumori quasi soffocati, che molto fanno pensare.on

Interessante è sapere che il titolo dello spettacolo prende spunto dalla frase scritta in una lettera che da Kreuznach Marx ancora venticinquenne scrive ad Arnold Ruge a Parigi, nel settembre del 1843. "Si vedrà allora che da tempo il mondo custodisce il sogno di una cosa, della quale gli manca solo di prendere coscienza, per possederla veramente”. Pasolini,  e la sua privilegiata vocazione pedagogica Uno spettacolo prodotto da  Infinito Teatro di Pierfrancesco Pisani

 

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