Per il Campania Teatro Festival 2023. alla Villa Floridiana – Palco Grande
- 6 luglio 2023 Ore 20.00 Durata 70 Minuti
Servizio di Cinzia Capristo
La kermesse
andata in scena il 6 luglio alla Villa Floridiana è un raffronto tra un padre,
giornalista e analista di geo-politica, Federico Rampini e suo figlio Jacopo
un giovane uomo che cerca di ritagliarsi un suo spazio nel mondo affrancandosi
da un cognome, entrambi espatriati in America nel 2000. La canzone cantata da
Frank Sinatra “New York, New York” introduce la performance “A cosa serve
l’America”, titolo provocatorio che invita alla riflessione.
I due
si confrontano, su un terreno comune: l’America, ma con posizioni, età e
opportunità diverse. L’uno, il giornalista affermato, analizza l’America dal
punto di vista politico, una America fatta di stereotipi, magnete di sentimenti
negativi, l’Impero del male, guerrafondaio; mette in evidenza il risorgere in
questi anni di quell’antiamericanismo che aveva percorso la sua giovinezza dove
guerre criminali come la guerra del Vietnam, l’invasione dell’Iraq con Bush avevano
fatto nascere lo slogan “americani go Home”.

Rampini
padre racconta la crisi finanziaria del 2008 e di come la classe dirigente
americana sia cambiata e del danno sociale che ha innescato portando alla
ribalta sulla scena politica nuovi nomi a sinistra Elizabeth Warren e Alexandria
Ocasio-Cortez, ma anche a destra vi sono stati cambiamenti con la nascita dei
movimenti populisti e la rivolta del ceto medio. Sono anni difficili e qui si
innesca il titolo della tematica portata in scena: a cosa serve l’America,
secondo Rampini serve a renderci migliori, a farci sentire migliori. Si diceva
che l’America fosse finita, la Cina che emulava l’America in questi anni di
crisi ne esce rafforzata, il suo potere a livello economico cresce, ma l’impero
americano non crolla. La più antica democrazia nata a Filadelfia nel 1787 è
l’unico Impero al cospetto degli altri che non demorde.

Alla fine della II
Guerra Mondiale deteneva il 40% del PIL mondiale ed oggi ne detiene il 25 %. Rampini
sostiene che la sua forza, come tutti gli Imperi strutturali sta nel
quadrilatero magico: Energia, Tecnologia, Demografia e Moneta; moneta
universale come una sorta di pax romana che nessuno può scalfire ci tentò De
Gaulle e altri, ma il dollaro rimane perché frutto di un sistema alla base di
uno Stato di diritto. Parla
della fuga dei cervelli dalla vecchia Europa cita Enrico Fermi ed Emilio Segrè,
ma anche i tanti ricercatori e studiosi di ambo i sessi che emigrano per la
poca meritocrazia che esiste nel vecchio Continente; della nuova forma di fuga dei
cervelli dall’Europa dell’eno-gastronomia che sta prendendo piede in America
dove chef stellati stanno trovando fortuna esportando la cucina italiana.

Parla
di Barack Obama del suo slogan: “yes we can” presidente degli USA amato, ma con
grosse pecche in politica estera dalla guerra in Libia si dice trascinato dalla
Francia, ondivago sulle primavere arabe a fronte di una realpolitik tradizionale,
alla guerra di Crimea nel 2014, alla Siria e la sua poca lungimiranza sulle
posizioni di Hassad. Insomma, Federico Rampini ci racconta, si interroga e ci
fa riflettere. A chiosa riprende la tematica della kermesse dicendo a cosa
serve l’America, l’America serve a trattenere gli impulsi armati degli altri, e
pensa alle armi nucleari che potrebbero costruire in breve tempo Giappone e
Corea del Sud, ma da osservatore attento parla della delicata questione di
Taiwan e della sua possibile annessione alla Cina.

Tutto
questo racconto è stato intramezzato dai racconti di Jacopo e dal sogno
americano. Laureatosi alla Sorbona di Parigi con una tesi sul Contratto sociale
di Jean-Jacques Rousseau che affermava: “Da ognuno secondo le sue capacità, e a
ognuno secondo i suoi bisogni” è con questo spirito che Jacopo arriva in
America. Riesce ad avere il suo sogno alla “Farrar Strauss & Girox” diventa
stagista e presto assistente del Presidente Jonathan Galassi e poi entra a
Picador, ma la crisi del 2008 spazza via tutto e con la stessa velocità con cui
aveva trovato lavoro viene licenziato, ma Jacopo non si abbatte e come dicono
gli americani “segui i tuoi sogni e ce la farai”, insegue il suo sogno all’Accademy di Arte
drammatica a New York per diventare
attore, nel frattempo lavora come cameriere e nel 2017 in via Carota nel locale
di Jodie e Rita incontra Obama e ne resta affascinato non perché è stato il
Presidente degli Stati Uniti, ma per il suo carisma e il suo lato umano in
compagnia della figlia e della moglie rappresentano una famiglia unita proprio
come quella di Jacopo che ha accanto a se, sul palco, suo padre e sua madre in
platea. Jacopo è animato da uno spirito combattivo, racconta del quartiere di
Harlem, parla degli afroamericani, dei diritti civili e di come la lingua dei
diversi popoli che costellano la città di New York, ma di tutta l’America,
rappresenti un pezzo di identità di un popolo. L’entusiasmo di Jacopo è
travolgente e Rampini padre lo guarda con ammirazione, orgoglioso di aver dato
a Jacopo radici forti e ali per volare, ma anche di intravedere in Jacopo
l’entusiasmo “del fare” di una nuova generazione che non demorde davanti alle
difficoltà. Il duo Rampini: Federico e Jacopo, per richiamare il “Due” della
sezione Letteratura hanno dato prova che si può essere uguali e diversi nello
stesso tempo.
Jacopo
chiude lo spettacolo con lo stesso slogan con cui ha iniziato: “credere nei
sogni”. Ad ascoltare il racconto di Jacopo vengono alla mente le parole di Arthur
Schopenhauer: “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in
ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare”.
Ph. Salvatore Pastore
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