Prima di Pompei: incontro con Aimos Gitai e il suo Golem
Presso il Ridotto del Mercadante, martedì 17 giugno
Servizio di Rita Felerico
Nell’incontro con Amos,
interessante di spunti, svoltosi ieri presso il Ridotto del Teatro Nazionale,
insieme a Roberto Andò ed alla stampa, la mia attenzione si è concentrata su
due temi che il regista ha nel suo dialogo chiarito: il tema della lingua e il
tema della condivisione e del dialogo fra diversità, reso possibile attraverso
l’esperienza teatrale.
Per il regista –
architetto mancato ma di raffinata formazione, il padre Munio Weinraub era
stato uno degli architetti della Bauhaus – educato ad una libera espressione
critica anche dalla madre, Efratia Margalit, docente di teologia ebraica e
studiosa di psicoanalisi, il cinema è stato per circa quaranta anni il suo
linguaggio d’arte– ispirato da Rossellini, Godard - per esprimere la
complessità dell’esistenza e degli scenari geopolitici. Amos ritiene il teatro,
in questo presente, la forma più vicina a descrivere i vuoti, le incertezze, le
fragilità, gli ossimori, il buio e gli spiragli di luce della contemporaneità,
la forma più congeniale ed immediata per aprire ed allacciare dialoghi.
Ecco allora la mia
attenzione sui temi prima esposti; il teatro rende possibile la creazione di
una lingua nuova, comune, identitaria di responsabilità civili ed etiche, che
sono e devono essere di tutti, senza diversità che tengano, così come richiede
qualsiasi partitura d’arte. Belle, infatti, le sue riflessioni sull’yiddish che
riportano a questa idea di lingua; l’yiddish è una lingua che non possiede
parole relative ad armi, munizioni, esercizio e pratica militare...non esige,
non comanda, non domina….è una lingua di umanità piena di timore e speranza… è
la lingua di mia madre.
Il teatro è il luogo
dove poter realizzare questo spazio di dialogo, l’esercizio teatrale richiede
rispetto dell’altro, ascolto, pazienza di memoria e di azione, è il luogo dove
è possibile l’incontro.
Non evadendo a domande
relative alla sua posizione su Israele e il conflitto palestinese, Gitai ha
fatto cenno alle guerre sparse per il pianeta e questo spettacolo vuole – dice
– creare ponti di unione ed affermare che questo è possibile se si
vuole.
Molti i paralleli fra
la realtà napoletana già conosciuta– nel 1993 ha girato il documentario Nel
nome del Duce sulla campagna elettorale di Alessandra Mussolini e nel 2016
ha firmato per il San Carlo Otello di Rossini – e la sua Haifa, dove e
nato nel 1950, e il suo Paese, due realtà che con gioiosa ironia definisce
schizofreniche.
Appuntamento al 20,
allora, nella magica, affascinante atmosfera di Pompei, per sentire Golem
camminare nella cavea di uno dei parchi archeologici più belli del mondo e
ancor di più per vedere realizzato quell’incontro di culture e di linguaggi,
unico strumento di salvezza per sopravvivere alla violenza e alla ferocia.
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