HIJOS DE BUDDHA Studio Uno, di Nicolò Sordo, regia di Alessandro Rossetto
Alla Sala Assoli – per Campania Teatro Festival il 27 alle ore 21, giugno 2025 – Per il Campania Teatro Festival 2025
Servizio di Cinzia Capristo
La pièce inizia nel buio, un volto
illuminato, quello di Marina Romondia, che inizia a narrare. Siamo nella
stazione di Roma Termini si ode un brusio di uccelli, sembra un’apocalisse
Maria Sanchez Misericordia, di Pamplona, è là con una busta della spesa in mano
e ha appena preso gli ultimi 500 euro di Giragira una donna venuta dall’Africa.
Il racconto, come un nastro che si riavvolge, va a ritroso e torna agli
accadimenti di sei mesi prima. Due donne si incontrano e i loro destini si
incrociano, il dolore dell’una si accanisce contro la disperazione dell’altra. Una
più anziana, Maria Sanchez, porta con se sul volto le brutture di un passato torbido
e si nutre, approfittandosene, della giovinezza e bellezza dell’altra, Giragira
che arriva a Roma con il figlio Jean-Pierre. Giovinezza come valore assoluto e rimedio
ad una solitudine, quella di Maria, che spaventa. Giragira, si affida a Maria e
vende il suo corpo per avere un permesso di soggiorno, ma alla fine si riscatterà
cambiando nome in Sharon e diventando infermiera.
Invece, la solitudine della Sanchez la conduce
ad affidarsi alla preghiera come condizione umana ai tanti problemi, come
catarsi per affrancarsi dai mali di una società incancrenita. In sottofondo si
odono le parole compassionevoli di Papa Francesco “meraviglia e gratitudine”
fondamentali per la fede cristiana, ma Maria si affida al buddismo e allestisce
una camera con un bonzo, e inizia a recitare “rem yoyo yam yoyo”. Nella sua
disperazione Buddha le appare e le parla, le dice che Budda è ognuno di noi, la
invita a trovare forza in lei stessa. Lei prega per la pace e la sicurezza
della vita e per le circostanze fortunate nella prossima, crede nella
rincarnazione; ma la sua fede è una fede di convenienza, è cristiana quando
Buddha non esaudisce i suoi desideri, e aspetta la Pasqua di resurrezione come
una rinascita ad una vita di brutture.
Negli occhi del figlio di Giragira rivede
il suo, che ormai adulto la chiama solo nel momento del bisogno. Un figlio che
la porterà alla disperazione. Le due donne si rincontreranno in un ospedale
dove l’infermiera Sharon la contatterà perché li, in fin di vita, c’è il padre
di suo figlio. Maria arriverà quando ormai lui è già morto. Questa dipartita la
farà riflettere sull’importanza delle parole, in italiano esiste “Ti voglio
bene” e “Ti amo” per le diverse circostanze, mentre nella sua lingua esiste “Te
quiero” e questo basta, perché bisogna farselo bastare. Si interroga sugli
affetti, sul figlio sui vuoti incolmabili tra le persone senza che ci sia un
perché e un come.
Una narrazione di eventi scandita da un
rintocco di: “interno giorno” “interno notte”. Quello che manca ad un testo di
tale intensità è la recitazione, anche se il tutto è lasciato volutamente
all’immaginazione, la vista è oscurata da luci coniche dove appare solo un
volto con le sue tante voci, in sottofondo una polifonia di rumori che fanno
immaginare accadimenti. Si può vedere con gli occhi, ma anche con gli altri
sensi, ed è questo messaggio che questa pièce vuole evidenziare. Le parole
leniscono rendendo il dolore sopportabile e curando ferite ancestrali. Il
dolore e la sofferenza non hanno bisogno solo di essere visti, ma anche di
essere ascoltati e curati.
HIJOS DE BUDDHA Studio Uno DI NICOLÒ SORDO REGIA ALESSANDRO ROSSETTO
CON MARINA ROMONDIA
IN PRESENZA
SONORA FATOU MALSERT,
ALEJANDRO BRUNI, GIORGIO SQUILLONI
CON LA
PARTECIPAZIONE DI ROBERTO
LATINI
MUSICHE E
MONTAGGIO ANDREA GIORGELLI
MIX PAOLO SEGAT
DISEGNO
LUCI PACO SUMMONTE
PROMOSSO DA RARA CON IL SOSTEGNO DI CASA FELLINI – GAMBETTOLA
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