Ritmi, suoni, voci, fantasia: la musica inaugura il Campania Teatro Festival 2025
Servizio di Rita Felerico
Se dei battiti per
la Pace dovevamo avere la suggestione e il coinvolgimento, il
concerto inaugurale del Campania Teatro Festival preceduto dalla performance site-specific in anteprima assoluta in Piazza Plebiscito delle bellissime ragazze di Funa Danza
Verticale, hanno lasciato il segno. “Suite n.0
– Performance aerea per quattro corpi sospesi” è il progetto firmato dal collettivo FUNA,
con la musica dal vivo della violinista Caterina Bianco e tre
performer aeree – Maria Anzivino, Marianna
Moccia e Viola Russo
La drammaturgia è stata curata da Alessio Aronne,
con il supporto tecnico alla sicurezza aerea di Antonio Gebbia e Renato
Palmiero.
Una violinista e tre splendine performer sospese nello
spazio in cubi vuoti abitano una delle
Piazze più grandi d’Italia e d’Europa
e squarciano il velo che oscura
la strada non solo alla fantasia, riportandoci alle emozioni da favola
della nostra infanzia, ma a credere che
i sogni se si desiderano veramente e ci si impegna per conquistarli possono divenire realtà. La leggerezza e
naturalezza delle protagoniste di Funa che con i loro corpi sospesi fra
l’azzurro del cielo, il rosso antico della facciata di Palazzo Reale e le
colonne di San Francesco di Paola
ritmavano i suoni di un violino
con agili movimenti , hanno regalato e
suggerito il desiderio di una pace che poi tanto lontana da noi non è : forse
occorre imparare ad alzare gli sguardi verso il cielo e a lasciarsi andare al
ritmo di suoni che abbiamo dimenticato, ma che vigilano dentro i nostri ricordi
e cuori.
Una esperienza
emozionale più centrata non poteva esserci per introdurci al percorso di una
musica che di battiti di pace ne ha trasmessi.
Sul palco del Cortile d’Onore di
Palazzo Reale musicisti del calibro di
Elisabetta Serio al pianoforte – compositrice e famosa band leader
internazionale – Jerry Popolo al sax tenore e soprano, Aldo Capasso
al contrabbasso, Leonardo de Lorenzo alla batteria, e soprattutto la
voce intensa e particolare di Sarah
Jane Morris, una delle interpreti più famose della scena jazz e soul britannica, hanno intrecciato con la loro musica un
dialogo fra loro e il pubblico come una partitura di pace.
Da brani suonati dalla
geniale Elisabetta, come Amore che vieni, amore che vai di Fabrizio De
Andrè alla interpretazione di Alleria
di Pino Daniele o di I'm Good (Blue) - un
brano dance suonato in chiave di sol minore a tempo di centoventotto battiti al minuto - il pubblico si è ritrovato a immaginare –
attraverso il timbro e la tonalità della voce di Sarah o i voli di note di
un jazz più libero che mai - diverse e nuove parole di
comunicazione che potessero superare la congenita incomunicabilità e
incomprensione ormai congenita nelle
nostre relazioni . I punti più alti di un linguaggio che si andava
destrutturando e poi ricomponendo in immagini e forme armoniche si sono vissuti
con Imagine di Lennon, trasfigurata
anche da un ‘grido’ finale e Africa
che ha poi chiuso il concerto, che si è avvalso di ben due bis.
Oltre il
commento musicale e la ricerca dei brani eseguiti– un concerto è ogni volta una
realtà a sé, da scoprire e custodire
dopo ogni ascolto – restano quei battiti di pace che solo la musica è
stata capace di trasmettere. Il saper
suonare – cantare insieme rispettandosi,
ascoltando l’altro prima di poter intervenire, armonizzarsi è educare il cuore e la mente ad un dialogo di pace e di relazione spontaneo e
umano. Lo ha detto a gran voce un grande
Maestro come Daniel Barenboim in un libro molto profondo e interessante,
La musica sveglia il tempo, ma soprattutto con il suo impegno nell’aver
dato vita – quasi un miracolo – alla West
Eastern Divan Orchestra, fondata nel 1999, dove musicisti
israeliani, palestinesi, siriani suonano insieme. Una bella storia da
raccontare e riscoprire, come quella narrata ieri sul palco del Festival.
©
RIPRODUZIONE RISERVATA